Forse mai quanto in questo caso la frase che ho utilizzato per raccontare le incredibili storie di Klaudio Ndoja e Yohannes Hadgu Girmay è così veritiera. Entrambi nella loro vita hanno dovuto fare un salto nel buio, per scappare dalla guerra e dall’odio, dalla misera e dalla povertà, e proprio qui hanno avuto l’opportunità di mettersi in gioco e rinascere grazie all’esperienza sportiva.
Non è un caso per esempio che per Ndoja sia uscito un libro che racconta le sue vicende (“La Morte è certa, la Vita no – La Storia di Klaudio Ndoja” di Michele Pettene, con prefazione di Marco Pozzecco), in cui il suo intento è quello di chiarire, e smentire, gli stereotipi che accompagnano il suo popolo albanese che viene qui in Italia. Klaudio scappato dalla guerra e rifugiatosi in Italia, comincia a giocare a basket nella squadra dell’oratorio di Palazzolo, nell’Hinterland milanese. Si vede subito la sua stoffa da campione, che lo porta nel giro di qualche anno a maturare tra le fila di settori giovanili importanti come il Casal Pusterlengo di Aradori e Gallinari, fino ad arrivare nella stagione 2007-2008 ad essere il primo cestista albanese a giocare con Capo d’Orlando nella Serie A Italiana e diventarne protagonista, raggiungendo il suo culmine nel 2012, quattordici anni dopo essere sbarcato da profugo, vincendo da capitano con Brindisi la Legadue. Pettene racconterà in un passaggio del suo libro, una frase che racchiude tutta l’essenza di questo straordinario ragazzo, e descrive in una frase quale sia stata la condizione che lo abbia portato ad emergere, a potersi esprimere e così vivere una vita felice e di soddisfazione: ”Il campo di pallacanestro è uno dei pochi posti al mondo dove non ci si può nascondere: si capisce subito se sei vero o se sei una fregatura”.
Un altro caso che ho il piacere di raccontare è quello di Girmay. Un formidabile runner eritreo costretto a fare il militare nel suo paese ed incarcerato per la sua fede evangelista. Come Klaudio ha avuto una semplice occasione che andava sfruttata, un pass verso la libertà: un biglietto d’aereo per l’Olanda con la possibilità di partecipare ad una gara. Terminata la gara, ha deciso di non tornare indietro, voleva una vita migliore per lui e se possibile anche per la sua fidanzata e la sua famiglia. In Italia chiede asilo politico, di cui è ancora in attesa, e fa l’incontro della vita: scopre per caso Giorgio Rondelli, ex atleta e allenatore di atletica leggera italiano presso il Cus ProPatria ed allora capisce che sarebbe potuto tornare ad allenarsi con passione e voglia per fare quello che ha sempre sognato: correre!
A cura di Marco Angoli