Intervista ad Alessandro Degasperi

Alessandro_Degasperi

Come e quando ti sei avvicinato al mondo del triathlon?

Ho iniziato quasi per scherzo nel 1996, a 15 anni, con la mia squadra di nuoto. Per mantenere il gruppo unito nel periodo estivo, il nostro allenatore (triatleta di buon livello lui stesso) ci ha proposto di iniziare con qualche gara di triathlon… da lì è partito tutto.

Da piccolo quali erano gli sport che praticavi? E’ stato un amore a prima vista quello con il triathlon o ci sei arrivato per gradi?

Da piccolo, vivendo in Val di Fiemme, ho praticato sia lo sci nordico che quello alpino, poi ho frequentato parecchi corsi di nuoto (senza però svolgere nessuna attività agonistica), ovviamente ho giocato anche a calcio fino verso i 13-14 anni, e comunque passavo la maggior parte dei pomeriggi all’aria aperta, in bicicletta, a correre nei prati.

Che ruolo hanno avuto i tuoi genitori, la tua famiglia nello spingerti a praticare sport e nell’incoraggiarti ad arrivare dove sei arrivato?

In realtà i miei genitori non mi hanno mai forzato con nessuno sport, anzi il contrario! Entrambi insegnanti, erano più interessati che andassi avanti con lo studio. Poi però, quando hanno capito che il triathlon stava diventando una cosa importante, mi hanno sempre dato la possibilità e l’appoggio, anche economico, per praticarlo.

Quali sono stati i tuoi maestri di vita e di sport? Quali sono i tuoi modelli?

In realtà non ho molti modelli, ho sempre cercato di portare avanti sport e studio, fino alla fine dell’università, ed ora ho la possibilità di correre tra i ‘pro’… chiaro, ci sono molti campioni che mi danno ispirazione, ma credo che ogni atleta abbia una propria identità e delle peculiarità, ed ognuno deve trovare la propria dimensione.

Mente, cuore e corpo: in che proporzione contano in quello che fai?

Forse proprio in quest’ordine. Se non hai grande determinazione manca il punto di partenza. Poi, chiaramente, per ottenere i grandi risultati ci vuole un gran motore, una buona dose di talento e una carrozzeria che regga!

Cosa ti sentiresti di consigliare ai giovani (anche ai più piccoli) che si avvicinano oggi alla tua disciplina?

Consiglierei sicuramente di farlo per divertirsi. Il divertimento è alla base dello sport: è l’unico modo perché gli atleti continuino a praticarlo anche diventando più grandi e più maturi. Direi loro di non pensare al risultato subito, perché è uno sport in cui si matura più tardi, ma piuttosto di curare gli aspetti tecnici e quelle qualità, come la coordinazione, la rapidità, etc… che si costruiscono molto più facilmente quando si è giovani.

Quali sono i valori chiave per te nello sport che pratichi e che – a tuo avviso – possono essere usati dai più giovani nella vita di tutti i giorni e dai manager all’interno delle organizzazioni aziendale?

I valori del triathlon sono la multilateralità, la visione d’insieme, la programmazione, la necessità di attuare delle scelte ed adottare strategie, sia in gara che per la propria preparazione, e, ovviamente la resilienza e lo spirito di sacrificio.

Come si dosa lo stress e si vince anche sotto pressione?

Sì, si può vincere anche sotto pressione… lo stress risiede soprattutto nelle aspettative, perché, poi, partita la gara, ci sono talmente tante variabili, tante analisi e scelte da fare, e poi talmente tanto tempo per pensare e casomai correggere o modificare alcune situazioni, che lo stress si allenta parecchio.

Quale è fino ad oggi il ricordo più bello della tua carriera agonistica? Che immagini hai davanti ai tuoi occhi? Perchè è il ricordo più bello per te?

In questo momento il più bello, forse perché è ancora vivido in quanto abbastanza recente, è stata la vittoria dell’Ironman di Lanzarote, che, sicuramente, fin’ora, è anche il risultato più prestigioso che abbia mai raggiunto… e l’ho centrato alla prima gara della stagione, al rientro da un brutto infortunio, al secondo mio tentativo di sempre sulla distanza. Gli ultimi km, la finish line, la mia famiglia ad aspettarmi all’arrivo… se ci penso ho ancora la pelle d’oca!

C’è mai stato un momento nella tua carriera dove volevi smettere o c’è stato un episodio/ un motivo che ti ha portato a dire basta? Se si…in quell’occasione cosa ti ha fatto reagire?

Sì, certo, in particolare dopo un paio di infortuni abbastanza grossi, e soprattutto lunghi ed in cui non riuscivo a trovare la causa. Dopo un po’ di tempo di inattività sentivo che non ero in pace con me stesso, perché sentivo che non ero ancora riuscito a dare e ad esprimere quello che pensavo di valere, quindi ho ripreso (una volta risolto) con più entusiasmo di prima.
3 pregi e 3 difetti del tuo carattere e come impattano sul tuo ruolo di atleta
Credo che nello sport sia più difficile giudicare alcune caratteristiche personali o pieghe del proprio carattere positive o negative… La testardaggine, per esempio, chi dice che sia una cosa negativa riferita allo sport? Al di la di questa considerazione mi ritengo una persona determinata, consapevole dei propri mezzi, ma allo stesso tempo umile e disponibile con gli altri. A volte un po’ impulsivo, ma questo soprattutto nei rapporti più stretti, e un po’ introverso.

Che opinione hai degli atleti che in momenti di difficoltà cercano delle “scorciatoie” (doping o altre forme) per raggiungere con meno sforzi i propritraguardi?

Su questo punto sono abbastanza drastico. Darei la squalifica a vita a chi assume sostanze con il chiaro intento di migliorare le proprie prestazioni. Per i giovani sarebbe sicuramente un grossissimo deterrente, e ci libereremmo di parecchi disonesti. La motivazione per continuare o ‘ritornare’ va trovata dentro a sé stessi, non all’esterno. E comunque sarebbe da fare una bella pulizia anche a livello dirigenziale!

Quanto è difficile bilanciare la tua vita agonostica a quella privata? Bisogna essere campioni anche in questo?

Per questo aspetto è fondamentale il rapporto con il proprio partner, e l’equilibrio che si crea all’interno della propria famiglia. Lo sport deve essere condiviso in questo ambito, altrimenti, se non c’è questa serenità, e direi anche complicità, i risultati non possono arrivare. Tutto il resto vien da sé.

Quanto è importante per te avere davanti agli occhi degli obiettivi chiari?

Molto importante, bisogna sempre avere ben chiaro il proprio obiettivo, tenerlo nel mirino e lavorare con tutte le proprie forze per raggiungerlo.

Rimanendo in tema di obiettivi: quale è il prossimo?

Ora la mia stagione è appena finita. Il mio obiettivo grosso per il 2016 è fare bene a Kona (il mondiale Ironman). Per fare questo però ci sono degli obiettivi intermedi, che servono innanzitutto per centrare la qualificazione, ma che diventano a loro volta gli obiettivi più vicini.

Che ruolo ricopre l’impegno Sociale nella tua vita di atleta? Cosa può fare lo sport e in particolare il triathlon per aiutare i più bisognosi?

Purtroppo per chi pratica questo sport, almeno in Italia, è difficile pensare di poter fare le grandi donazioni, come per esempio fa Roger Federer (che per me è uno dei migliori atleti di sempre sotto ogni punto di vista). Certo mi piacerebbe poterlo fare! Nel mio piccolo mi sto impegnando in un progetto di scuola e sport che stiamo portando avanti (con il mio gruppo di lavoro) nel contesto dell’Università di Trento, che permette agli atleti che praticano sport di buon livello, una volta finite le superiori, di iscriversi all’Università e di continuare a fare sport, dando una serie di aiuti ed agevolazioni, sia dal punto di vista tecnico che logistico-organizzativo a questi gruppi.

Quanto è importante oggi credere nei giovani?

E’ molto importante, tanto più perché il momento per i giovani è quanto mai difficile e complicato: ci sono molte più opportunità di una volta, ma ci sono anche molte più ‘distrazioni’… Tanti valori sono sempre meno forti e radicati nelle nuove generazioni, e sicuramente lo sport può insegnarne alcune.

Sei superstizioso? Hai dei riti scaramantici che fai prima di ogni competizione o degli oggetti portafortuna?

Di base no, anche se quasi sempre mi taglio i capelli prima di una gara importante, spesso nel posto dove si svolgerà la gara, ma in realtà perché spesso a casa non riesco a prendermi il tempo di andarci.

Quanto ti alleni? Raccontaci la tua giornata tipo.

Le ore di allenamento sono molto variabili in base al periodo e ai vari momenti della preparazione. Per semplificare: all’estremo, tolte le settimane di recupero (che mi concedo dopo le gare sulla distanza Ironman ed a fine stagione), vanno dalle 30-35 ore a settimana nei periodi di carico, alle 20-23ore delle settimane di scarico.

Ci racconti il tuo primo successo?

Quello che ritengo essere stato il mio primo successo, in quanto mi ha poi dato lo stimolo giusto per impegnarmi in questo sport, è stata la vittoria del campionato italiano della mia categoria (allievi) alla fine della mia prima stagione di triathlon, nel 1996, vent’anni fa. E’ stata una emozione incredibile!

Quanto è cambiato il mondo del triathlon negli ultimi 10 anni? E’ una questione di tecniche? Di preparazione? Di materiali? Di maggiore competizione?

Il triathlon, essendo uno sport molto più giovane di altri, e contemporaneamente molto complesso e specifico da allenare, si sta evolvendo molto velocemente. Ora stanno arrivando a maturazione le generazioni dei triatleti nati come triatleti e non provenienti da altri sport. Ed i risultati si vedono!

Cosa significa per te l’andare oltre il limite?

Secondo me in uno sport come il triathlon di lunga distanza non si può andare oltre il limite. Bisogna allenarsi per rendere quel limite così lontano tanto da rendere la gara perfetta quella in cui, riguardandola, ti sembra di aver fatto tutto con facilità (o quasi).

La sconfitta che significato ha per te?

La sconfitta ha un ruolo formativo: sono molto poche le volte dove si vince, e moltissime quelle in cui si perde. Però dobbiamo ricordarci che la vittoria non può essere sempre e solo legata alla propria posizione in classifica, ma deve essere rapportata al proprio obiettivo.

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