Poliedrico e sportivo da sempre: questi i due aggettivi che meglio si sposano con la personalità e l’attività di Stefano Ghisolfi, il miglior atleta italiano di arrampicata che da qualche anno figura bene anche nelle gare di Coppa del Mondo – nel 2014 è infatti arrivato al nono posto nella classifica generale della specialità lead.
Grazie a una famiglia che lo ha sempre incoraggiato a praticare sport, lasciandogli la libertà di scegliere la propria strada, ma sostenendolo nei momenti di bisogno e difficoltà, Stefano ha iniziato a gareggiare fin da piccolo.
Allenato dal padre, maestro di mountain bike, a sei anni ha partecipato alle prime competizioni sulle due ruote, continuando in questa disciplina fino ai 12 anni di età. Ha poi praticato l’hockey per circa due anni, prima di provare l’arrampicata; quella arrampicata con la quale è stato amore a prima vista: “Tornavo da una gara in bicicletta in Valle d’Aosta, e degli amici hanno accompagnato me e mia sorella a provare ad arrampicare su una diga attrezzata. Mi sono trovato subito a mio agio e ho capito immediatamente che quello era il mio sport; da quella prima volta, entrambi abbiamo cercato il modo per continuare: ci siamo iscritti in una palestra di Torino per frequentare un corso base e, poco dopo, sono arrivate le prime garette promozionali. Da quel momento non abbiamo più smesso.”
Nonostante la giovane età, non ha avuto paura di praticare questo sport dai più considerato estremo e pericoloso; anzi, ancora oggi si sente di consigliarlo anche ai più piccoli.
Questa disciplina può infatti cominciare come un gioco divertente perché arrampicarsi fa parte degli schemi motori di base di bambini, per i quali diventa quindi un’attività didattica e coordinativa perfetta. Ma, nel tempo, consente di lavorare molto su se stessi, intraprendendo un percorso conoscitivo profondo della propria personalità: riconoscere le proprie capacità e i propri limiti è indispensabile per individuare i rischi che ogni arrampicata comporta, valutarli e affrontarli senza correre inutili pericoli. Non è quindi un caso che la respirazione e il pensiero, capace di modificare emozioni e sensazioni, siano le tecniche privilegiate dall’atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro per affrontare la stress e vincere anche sotto pressione.
Forte delle proprie capacità e ben consapevole dei propri limiti “oltre i quali non si può andare, ma che si possono spostare ogni giorno un po’ più in là allenandosi con motivazione”, Stefano non ha mai avuto dubbi o ripensamenti nella scelta di questo sport; e non ha mai pensato di smettere nonostante un piccolo e apparentemente innocuo infortunio ad un dito che lo ha fatto disperare per anni: purtroppo ancora oggi non ha trovato una cura per risolvere questo problema; ma ha imparato a conviverci senza precludersi nessuna opportunità.
La poliedricità del giovane torinese oggi si ritrova all’interno dell’arrampicata e delle discipline in cui si declina.
Stefano è infatti un atleta di alto livello tanto nell’arrampicata in falesia, quanto nel bouldering e nello speed. La prima si pratica su vie lunghe fino a 40mt con imbrago e corda usata come sicurezza in caso di caduta; la seconda invece prevede l’ascesa su massi molto più bassi – dai due ai cinque metri circa, dove vengono usati dei materassi a terra per ammortizzare la caduta. Minimo comun denominatore, l’obiettivo: arrivare in cima. Arrivare in cima nel minor tempo possibile è invece lo speed.“All’inizio della mia carriera praticavo tutte e tre le discipline; ora prediligo la lead e ogni tanto mi cimento nel boulder; raramente mi impegno nello speed e, quando lo faccio, è solo per la classifica combinata delle tre specialità”.
Per competere ad alto livello, Stefano si allena quotidianamente due volte al giorno: una prima seduta mattutina di circa due ore su un muro che l’atleta ha a casa, alla quale seguono tre ore nel pomeriggio in palestra per esercizi di scalata e simulazioni di gare.
Oltre a ciò, cuore, mente e corpo sono molto importanti nella sua preparazione. “Il cuore è la passione, il motore delle mie azioni e la motivazione per andare avanti anche senza sapere fino a dove arriverò. La mente è la centralina che dirige tutti gli sforzi, sceglie gli obiettivi e programma tutto in funzione di questi. Alla fine viene il corpo, che è molto meno importante di quanto si pensi: si adegua e si adatta semplicemente agli allenamenti, ma è spinto dalla mente che, a sua volta, è mossa dal cuore.”
Tutto segue un programma ben preciso nella testa di Stefano Ghisolfi: uno schema per arrivare in alto e continuare a migliorare e migliorarsi giorno dopo giorno; per spostare sempre un po’ più in là il limite e raggiungere vette più alte.
Ed è per questo motivo che nella vita e nella carriera di Stefano Ghisolfi non c’è posto per il doping: “chi usa sostanze proibite o bara nelle gare non può nemmeno definirsi atleta. Per me non avrebbe senso partecipare a competizioni se usassi scorciatoie per vincere: io gareggio soprattutto per me stesso, e se barassi significherebbe ammettere di esser più debole degli altri, perché ho bisogno di aiuti per vincere.”